domenica 17 maggio 2009

Mille e una ragione per azzeccarci




Poco più di un mese fa la mia arrabbiatura e la mia preoccupazione hanno raggiunto il punto di non ritorno.
Arrabbiata, perché è intollerabile vivere in un Paese in cui la legalità è diventato un optional, tanto che siamo circondati da una microillegalità talmente diffusa da rasentare l’abitudine, il “tanto siamo fatti così”.
Preoccupata perché temo fortemente per una democrazia in balia degli imbonitori di mestiere, dei manovratori delle coscienze, dei servi di un padrone malato di bulimia di potere.
Partendo da questi presupposti e stanca delle chiacchiere da bar o da salotto più o meno buono, ho deciso che era arrivato il momento, per me, di fare qualcosa di più. Di uscire dall’anonimato del mal di stomaco raccontato agli amici fino a metterci il mio nome e cognome e la mia faccia. Ho scritto al presidente Di Pietro. Gli ho inviato una lettera in cui ho descritto il mio stato d’animo e il bisogno di mettermi in gioco forte di una coscienza civile che non ho mai svenduto. Perché proprio a Di Pietro? Conoscete qualcun altro, oggi, che possa dare una risposta seria a un bisogno di “normalità” che questo Paese ha? E per normalità intendo il rispetto elementare delle regole del vivere civile. Ho parlato con Di Pietro e ho accettato la candidatura alle europee. Tutto si è svolto nelle poche ore di una mattina trascorsa nelle sede dell’Italia dei Valori, e senza il bisogno di chiamarlo “papi” cosa che, ultimamente, sembra procuri più danni che benefici.
Mi sono chiesta come potevo rendermi utile e la conclusione a cui sono giunta è che dovevo mettere in gioco la mia professionalità, il lavoro che amo e che svolgo ormai da più di vent’anni.
Sono medico del lavoro, mi occupo di prevenzione e credo soprattutto nella “cultura” della prevenzione. Mi indigno quando si elaborano modifiche a un decreto che tutelano solo i datori di lavoro. Mi indigno quando un ministro della repubblica predispone il salva-manager invece che il salva-lavoratore, mi indigno quando a indignarsi sono solo il presidente Napolitano, i familiari delle vittime della Thyssen e, naturalmente, il presidente Di Pietro. Mi indigno, infine, quando le morti sul lavoro diventano il pretesto per mettere mano a un decreto che garanzie le dà, e tutto per modificarlo solo a favore dei datori di lavoro. E un complice c’è, è la stampa di regime che parla degli stupri tutti i giorni perché occorre approvare il decreto sicurezza salvo farli scomparire (come se nessuna venisse più stuprata), nel momento in cui l’obiettivo è stato raggiunto. Così come, sempre la stampa di regime, ha utilizzato le rapine nelle ville del bresciano e l’immondizia a Napoli, non rendendosi conto che la vera immondizia erano il modo e gli scopi, per cui venivano confezionate. Per abbattere questa “democratura” (una dittatura mascherata da democrazia, come l’ha definita Carlo Vulpio), occorre ripristinare le regole fondamentali di una democrazia vera e non camuffata. Per fare tutto questo l’Italia da sola non basta, occorre agire in Europa.
È quello che vorrei fare.

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